Sulla collina

-Racconto illustrato-

(con A.I. e tecnologie chatGPT4 DALL-E)

Quello che segue, è il foto-racconto ideato e scritto (a quattro mani) nei mesi di settembre-dicembre 2009, che ispirò già l'opera solo-piano "Sensitivity". Solo ultimamente, in occasione della nascita del progetto "Confluenze" si è, per così dire, risvegliato l'interesse per questa storia sospesa tra dimensione onirica e situazioni surreali. Anche se il protagonista non è dissimile da tanti modelli di uomini resi soli dal destino, la presenza della giovane donna spezza la normalità del racconto orientandolo verso un'interpretazione più profonda della vicenda, tramite una simbologia sublimata nelle immagini create ad hoc con l'ausilio dell'intelligenza artificiale, tecnologie DALL-E. In questa visione, la giovane donna, potrebbe essere la proiezione di un ricordo del passato dell'uomo, un ritorno così limpido da avere connotazioni reali o potrebbe essere la chiave interpretativa dell'ingresso nella depressione profonda del protagonista, che lo porterà, alla fine del racconto, a tentare il suicidio.

La routine del lavoro, la stessa strada da percorrere ogni giorno, gli stessi orari a cui obbedire; in fatto di pendolarità, i suoi orari facevano del viaggio di andata e ritorno un’occasione per lasciare che la mente vagasse in un’unica direzione, per finire sempre nei luoghi oscuri del suo passato, dal quale non riusciva proprio a sottrarsi.

Poiché lui era un uomo tormentato dal suo passato, cercava solo di mettere pace in sé stesso, qualunque cosa fosse il suo trascorso. Ogni sera, dopo il lavoro, si recava in una strada in collina a lui cara, dove aveva trascorso momenti felici da adolescente. Lasciare la strada trafficata, il lungo serpente di auto con i fari accesi nella sera e imboccare una stradina trasversale che l’avrebbe portato a destinazione lo stesso, ma percorrendo quelle ferite nella collina adiacente, che difficilmente si possono definire strade, gli dava ancora quell’emozione e quella frenesia che, da giovane, provava nel portarci le sue fiammelle per godere di un po’ di intimità. Parcheggiava a lato della stradina, scendeva dall’auto e camminava lungo il sentiero, respirando l’aria fresca della sera e guardando lo spettacolo offerto dal crepuscolo di un cielo reso terso da una giornata di Fenom, il vento tiepido delle Alpi. Abbracciato dai profumi portati dal vento, che faceva turbinare vecchie foglie secche sul sentiero, si sentiva più vicino a se stesso, più in armonia con il mondo.

Una sera di quelle, mentre camminava, vide una giovane donna seduta su una panchina. Era bellissima, con i capelli biondi e gli occhi grigi. Indossava un vestito bianco, che le donava un’aria angelica. Si avvicinò a lei, incuriosito. Le chiese chi fosse, cosa facesse lì, se avesse bisogno di qualcosa. Lei lo guardò con un sorriso dolce e triste e gli rispose che era lì per ammirare il paesaggio, che non aveva bisogno di niente. Poi gli chiese se voleva sedersi accanto a lei e fare due chiacchiere. Lui accettò, senza sapere perché.

Iniziarono a discorrere di tutto e di niente, come se si conoscessero da sempre. Si sentì subito a suo agio con lei, che gli sembrava una persona gentile e sensibile. A sua volta lei si mostrò interessata a lui, che le raccontò della sua vita, dei suoi problemi, dei suoi sogni. Si capirono al volo, si fecero delle confidenze, si fecero delle grasse risate. Si alzarono dalla panchina, si presero timidamente per mano, senza guardarsi negli occhi, in uno stato di confusione e timido impaccio, e continuarono a camminare insieme, mano nella mano. Lui si sentì felice come non lo era da tempo. Lei anche gli disse che era felice di averlo incontrato. Poi lo baciò sulla guancia e gli disse arrivederci. Lui le chiese se poteva rivederla il giorno dopo. Gli disse di sì, senza indugi, ma solo alla stessa ora e nello stesso posto. Accettò, senza capire perché. Ma non glielo chiese.

Il giorno dopo tornò alla strada in collina, sperando di ritrovarla. Teneva in serbo con sé il ricordo del bacio che gli diede il giorno prima, anche se in esso c’era qualcosa di surreale, una nota stonata in mezzo a tanta melodia che non riusciva a cogliere: al contatto delle labbra di lei sulla pelle della sua guancia, provò una strana sensazione di freddo, come un brivido proveniente dal profondo del suo corpo. La ritrovò, seduta sulla stessa panchina, con lo stesso vestito bianco, con lo stesso sorriso dolce e triste. La salutò con gioia e le si avvicinò. Ripresero a parlare come il giorno prima, come se non fosse passato tempo. Si raccontarono altre cose di loro, si scambiarono altri pensieri, si fecero altri complimenti. Si presero per mano e ripresero a camminare insieme, baciandosi ogni tanto. Lui si sentì innamorato come non lo era mai stato. Lei anche gli disse che provava qualcosa del genere, ma che non potevano stare insieme. Le chiese perché no, cosa gli impediva di essere felici. La giovane donna gli disse che lui non avrebbe capito, che era troppo complicato da spiegare, che era meglio così. Poi lo abbracciò forte e gli disse addio. Lui le chiese se poteva rivederla il giorno dopo. Lei gli disse di si, ma solo un’altra volta ancora e nello stesso posto. Accettò, senza volerlo credere.

L’ultima volta che la vide fu una sera di pioggia. La trovò sulla stessa panchina, ma questa volta era bagnata fradicia e tremava dal freddo. Lui scese dall’auto, le corse incontro e le mise il suo giubbotto sulle spalle. Le chiese cosa le fosse successo, perché fosse così pallida e triste. Gli disse che era arrivato il momento di dirgli la verità, anche se gli avrebbe fatto male. Gli disse che lei non era una donna vera, che in quel corpo non c’era vita. Lei era il fantasma di una ragazza suicida per amore in un passato lontano. Gli disse che lui era l’unico che poteva vederla e sentirla, perché aveva una sensibilità speciale, per quanto lui non ne fosse minimamente consapevole e che, per quanto difficile da comprendere e accettare, esistono cose che ci vivono intorno, ma non possiamo percepirle. Con lo sguardo che aveva abbandonato l’aspetto dolce a favore della piega triste che lo contraddistingueva fino al giorno prima, e lo rendeva unico, gli disse che lo amava davvero, ma che doveva lasciarlo andare. Lui rimase senza parole, incredulo e sconvolto. Le chiese come fosse possibile, come potesse essere vero, come potesse accettarlo, come avrebbe fatto senza la sua presenza, ora che aveva trovato chi avrebbe salvato la sua vita. Lei gli rispose che non c’era niente da capire, che era solo un destino crudele, che doveva rassegnarsi. Poi lo baciò per l’ultima volta e gli disse addio. Con la voce già spezzata dal pianto, le chiese se poteva rivederla ancora, anche solo per un minuto. Ma lei, fermamente, gli disse di no, che sarebbe stato possibile solo nel suo cuore e nei suoi ricordi. Lui si rifiutò di accettare di doverla perdere.

Ma era troppo tardi. Il suo corpo diventò via via più etereo e, infine, svanì davanti ai suoi occhi, come una bolla di sapone. Rimase solo, con il suo giubbotto bagnato e il suo amore impossibile. Pianse disperatamente, gridando il suo nome. Ma nessuno lo sentì, nessuno lo capì, nessuno lo aiutò.

Passò qualche settimana. Cercò di evitare quel luogo. Cercò di impegnarsi in qualsiasi attività potesse distoglierlo dal pensare a quanto accaduto, ma in ogni istante gli sembrava di averla accanto, ovunque fosse, qualunque cosa stesse facendo e quella condizione, anziché rincuorarlo, amplificò il bisogno di poterla riavere, anche solo per un misero istante. Si rivolse a Dio ogni giorno, specialmente la sera,  supplicandolo di mostrargli la strada da percorrere per poterla raggiungere e venne esaudito il suo desiderio: fu più semplice di quanto avesse immaginato. Una sera, dopo il lavoro, si diresse verso la strada in cui, su una panchina, aveva incontrato lei per la prima volta, come se lo stesse aspettando. L’asfalto sfrecciava sotto le ruote, fino a finire per lasciare il posto ai ciottoli del sentiero a lui caro.

Illuminata dai fari dell’auto poteva intravedere la panchina avvicinarsi ai suoi occhi, senza lei seduta ad aspettare.  Per liberarsi al più presto della profonda tristezza e del profondo senso di abbandono e di vuoto interiore che gli procurava il confronto con l’amara realtà, accelerò d’istinto e girò il volante verso la scarpata affianco al sentiero. Si girò un istante verso il sedile del passeggero e lei era lì, affianco a lui, con lo stesso sguardo dolce e triste che gli scoppiava nel cuore. Lei gli tese la mano, mentre il mondo rotolava fuori dai finestrini che si infrangevano in mille frammenti impazziti e luminosi come stelle, in un frastuono assordante. Anche lui le sorrise e le porse la mano. Un istante che parve infinito gli permise di scambiarsi quella frase tanto agognata nelle ultime settimane della sua triste esistenza - Ti amo! - Anche io ti amo! - Per sempre! - Si, per sempre. - Poi il buio e il silenzio avvolsero i rottami in un silenzio surreale.

Lo trovò il giorno dopo un contadino che, col trattore, stava andando a lavorare nei suoi campi più a valle. Era ancora seduto alla guida della sua auto, aveva gli occhi chiusi e un sorriso così beato che sembrava dormisse e stesse facendo un bel sogno, nella mano sinistra serrava un lembo di tessuto bianco, che non si capì mai da dove potesse averlo strappato durante il ribaltamento dell’auto.

In quei luoghi si racconta che nelle sere di vento, appena dopo il tramonto, si possono sentire i passi ben distinti di due persone che camminano sulla ghiaia del sentiero e le voci di un uomo e una più cristallina di una donna ridere e parlottare sottovoce dicendo cose incomprensibili. Qualcun altro addirittura racconta di aver intravisto per pochi istanti due sagome sfumate muoversi sul sentiero in prossimità della panchina, che ancora oggi è lì. Ma i fantasmi non esistono. O forse si?

In breve:

I luoghi reali in cui è nato il racconto.

L.A.M.