Il viale

-Racconto illustrato-

(con A.I. e tecnologie chatGPT4 DALL-E)

… sono seduto ad aspettare, accolto dal rosso liquido d’un cielo che straripa in strada ... mi chiedo se ci sia un modo per spazzolare via i residui di certi sogni insieme alla nostalgia: le cose che non ho e le cose che ho perso mi caratterizzano più nitidamente di quelle conquistate ... penso che la distanza non è quella dei chilometri messi sotto le scarpe, ma quella da percorrere per avvicinarmi a te ...

... quest’anno l’estate ha esteso il proprio abbraccio caldo ben oltre i naturali confini e alla metà di settembre non c’è alcuna differenza con una giornata di inizio agosto ... ma il corpo sa da subito quello che la mente capisce più tardi ... ha i suoi tempi, la mente, con l’intralcio di tutti i ma, i forse, i nonostante da elaborare ... e l’amore lo sa ... è un sortilegio, e noi siamo dei bambini stupidi che gettano in cantina il loro giocattolo migliore per la paura di usarlo e romperlo ... l’innamoramento è uno strappo, non una cucitura ... quelle sono per i sarti e per chi s’accontenta ... non si ama per convenienza, ma nonostante ... a un certo punto, le cose sull’orlo di un amore precipitano ...

... stavo notando che dopo una radura segue una sfilza di piccoli orti, fazzoletti ricamati a basilico e fatica … ed io cerco di contaminare la realtà con le storie ... ma il tempo prende decisioni al posto mio ... rumore di tacchi sul selciato, vociare di bambini che si pestano i piedi, risate di donne … vorrei quei getti di aria fredda che negli occhi diventano lacrime, e ogni lacrima è un ricordo che se ne va via … ogni lacrima si potrebbe portare via un’immagine di te ...

... sono ore dilatate, fuori dalle abitudini rassicuranti, fuori dai soliti giri di ruota da criceto ... le ore non sono tutte ubbidienti all’orologio: ce ne sono di anarchiche, riempite di cose all’inverosimile o lasciate stagnare in una notte di sonno impossibile, quando persino i muri della stanza sono malevoli, nella loro indifferenza liscia e senza appigli ...

… ma che ci faccio qui? perché così faccio io: ti vengo a cercare, per farti andar via … forse ... oggi ho deciso che per me niente televisioni o computer ... preferisco sedermi fuori, guardare i prati e le colline: albe, tramonti, temporali, alla fine, sono sempre stati i miei programmi preferiti ... ogni giorno leggo un quotidiano per le notizie del mondo, per quelle del paese mi basta il bar ...

... ho un ricordo di te in questo luogo, una delle prime volte che si usciva ... appena superata la frontiera dell’incertezza rispetto al sentire dell’altro, le parole si liberavano dalla patina di finta immobilità e prendevano la rincorsa ... spalancavo gli occhi per immagazzinare tutto quel giallo e quel blu sullo sfondo e i tuoi lineamenti intenta a osservare l'orizzonte ... provavo a fissare nella memoria i dettagli, a creare arazzi nella mente, approdi a cui avrei saputo fare ritorno nel tempo da passare lontani ... perché sempre mi torna in mente la frase di Cesare Pavese: "a che serve passare dei giorni se non si ricordano?" 

… la linea netta di cesura tra un campo giallo di stoppie e una striscia di zolle rivoltate ... sembrava che il mio cuore somigliasse alla terra, che aspetta l’aratro senza fare resistenza ... entrambi attendevamo la sera per stare concentrati l’uno sull’altra senza doveri e distrazioni di mezzo ... sentivo che tutto combaciava, che la distanza tra quello che c’era e quello che avrei voluto stava dentro due parole mancanti all’appello, due parole soltanto: "per sempre" ... “oggi il colore dei tuoi occhi è diverso”, ti dissi, ed era un giorno senza nuvole … “lo so, mi dicesti, cambiano con la luce” … “allora i tuoi occhi sono dell’umore del cielo” … ti accontentavi di camminarmi vicino e guardare le strade sbiancate e i riflessi dei lampioni giù a valle ... si sentiva l’odore della legna che già accendeva qualche camino e quello dei prati dopo l’imbrunire, che hanno un profumo che non somiglia a nient’altro ... ci fermammo in una radura, sopra una cima rotonda e ai nostri piedi un panorama surreale: alberi fitti, bagliori lontani di paesi, la sagoma remota e nerissima delle montagne ... avesti vergogna di guardarmi negli occhi quando mi dicesti “ho paura che ti amo” … e dentro quella frase sgrammaticata traspariva l’impeto e l’urgenza di dire ... io ti risposi, con la voce di uno che ha riso e poi pianto, “io non ho paura, perché ormai lo so che ti amo ... la paura l’ho lasciata indietro, tanto non serve tenersela addosso, ti pesa e nient’altro …

ho la memoria degli uccelli migratori … è molto più lunga di quella degli altri volatili, perché devono essere capaci di fare ritorno” …” e a questi giorni ti piacerà tornare?” … “difficile sarà farti partire” … e ora capisco cos’è il vero ingombro di un’assenza e che anche lo spazio, e non solo il tempo, cambia le cose e le persone.

Tra poco mi alzerò e mi incamminerò verso l’auto ... e vorrei ancora tenerti forte la mano per arginare il mio buio.

In breve:


L.A.M.